Studi Vinciani

Nulla è la Luna”  è il libro di Luigi Ferrario,  un testo al quale l’autore affida intuizioni destinate a  stravolgere la lettura della pittura leonardiana da sempre considerata geniale ed emblematica, ma probabilmente mai intimamente analizzata alla luce della creatività e sensibilità del Genio fiorentino.

Lo studio di Luigi Ferrario in particolare pone attenzione sul dipinto oggi riconosciuto con  il nome di Ginevra de’ Benci,  per l’assonanza che il nome della dama ha con il ginepro rappresentato nella tavola a contorno dell’effigie e che  diviene  ancora protagonista nel cartiglio posto sul suo retro.

Ma l’identificazione della dama con quel dipinto non è documentata e che questa  lo sia davvero, resta in effetti una supposizione, così come molte altre si sono dovute fare nel  cercare di  descrivere  l’opera di Leonardo.

E’ indubbio, d’altra parte,  che  Leonardo  Da Vinci  ci abbia  lasciato molti scritti:  appunti personali che descrivono la sua opera, a volte studi, altre volte semplici pensieri,  sono i così detti  codici,  arrivati a noi in forma sparsa recuperati  e restituiti alla storia, grazie all’opera di studiosi che spesso hanno dovuto cercare di integrarli e/o  modificarli, per cercare di renderli comprensibili o anche  per il semplice fine di contestualizzarli. All’opera degli studiosi si deve molto di quello che sappiamo oggi su Leonardo, ma come sempre accade  questi  offrono  noi,  una loro  visione  dell’opera  di questo artista, personalità poliedrica, uomo di scienza ed inventore,  e  ciò,  se da una parte ci permette di capire e mettere insieme i tanti tasselli lasciati da Leonardo,  dall’altra, se non ci concediamo di leggerli e comprenderli  con spirito critico e libero,    limitano la nostra percezione lasciando insoddisfatto  il nostro bisogno di conoscenza.

E’ qui che nascono le intuizioni di Luigi Ferrario.

Secondo l’autore la dama raffigurata nel quadro non sarebbe una figura reale, quanto semmai la rappresentazione di uno studio geometrico, che la virtù dell’artista  decora con la propria  pittura creando  un tutt’uno che dona piena soddisfazione  alla propria opera, risultante in  un’auto celebrazione  del quale il cartiglio posto sul retro del dipinto “Virtutem Forma Decorat”  ne diviene  firma e chiave di lettura.

Nel libro  “Nulla è la Luna” è quindi  descritta  la geometria che origina la figura rappresentata nel quadro: partendo da punti generativi ottenuti da intersezioni di rette delimitanti l’effigie,  si ottengono le linee,  archi di circonferenza, capaci di ridisegnare completamente e con estrema precisione, volto, espressione e vesti della dama ritratta, rimanendo sbalorditi nel verificare come pittura e geometria si fondano eccezionalmente insieme,  costituendo un’ opera unica.

Rimane da chiedersi:  perché Leonardo Da Vinci avrebbe dovuto dipingere un ritratto secondo questi dettami, senza mai lasciare alcuna traccia del suo fare in un qualche suo scritto?

La risposta che Lugi Ferrario ci pone con “Nulla è la Luna”,  è che probabilmente fino ad oggi si è  sempre letto i tanti manoscritti, mai scevri delle interpretazioni degli storici e studiosi vinciani,  e che queste in qualche modo ci hanno impedito di leggere,  ciò che più volte  Leonardo avrebbe invece indicato, tal volta in maniera tecnica, altre, dando libero sfogo alla propria poetica.

Così come accade nel “Trattato della Pittura” dove Leonardo accosta il fare pittorico  alla geometria e nel quale  a più riprese sono riportati gli elementi  fondamentali della geometria euclidea  quali la  forma, la linea e il  punto,  elementi che egli stesso  definisce  essenziali  anche alla  pittura quale  scienza alla pari  delle altre  scienze.

Ma l’accostamento geometria-pittura si ritrova anche in quello scritto poetico che più volte è stato elemento di discussione tra gli studiosi  che ha titolo  “Sugietto cholla forma” .

E’ questa un’ altra scoperta di Ferrario:  se  rileggiamo questo testo con questa diversa prospettiva,  e cioè che il fare pittorico e la geometria entrambe amate e care a Leonardo, si sposano insieme nel generare un’opera sola,  ecco che “Sugietto cholla forma” acquista senso e significato così come è, senza stravolgimento alcuno e senza necessità di ipotesi che abbiano a che fare,  con chi sa quale altro contesto.

Nel foglio 6 recto del codice Trivulziano si legge (riportato così come da trascrizione):

sugietto cholla forma

muouesi lamata per la cosamato come ?» /// il senso colla sensibbile e chon secho suniscie

effasi una cosa medesima

lopera ella prima chosa che nassce dellunione

sella cosa amata è vile . lamante si fa vile

Quando . la chosa unita è chonveniente al suo

unitore . li seguita dilettatione . e piacere essadisfatione

Quando lamante e giunto . allamato li si riposa quando . il peso . e posato . lisiriposato

la coso sa chogniusciuta chol nostro intelletto

Ecco che se noi abbiamo il solo  ardire di pensare alla “amata” come alla “geometria” e all’ “amato” come al “fare pittorico”,  troviamo che dalla loro unione ciò che  nasce  è l’opera e che essa sarà conveniente all’unitore (l’autore-artista)  al quale  recherà  soddisfazione  e piacere,    ricompensandone gli sforzi.

Sul titolo  “Nulla è la Luna”.

Durante gli studi su Leonardo e nella rilettura delle trascrizioni dei codici leonardeschi,  Ferrario si imbatte in uno scritto “stentato” quasi abbozzato da Leonardo su uno dei suoi taccuini.

E’ un brano anch’esso come tutta l’opera del Genio molto dibattuto in passato.

Questo recita:

la luna densa

egra densa egrave

come sta la lu

na

Ravaisson-Mollien studioso vinciano ritiene la frase, scritta a matita in un codicetto di appunti volanti, rappresenti la conclusione di uno studio scientifico sulla Luna,  steso su fogli perduti. L’annotazione è molto sbiadita nella riproduzione e lascia qualche dubbio…

In effetti perché mai,  fosse anche un quesito che Leonardo si pone, egli avrebbe dovuto scriverlo in maniera così particolare, sillabandolo, quasi cancellato?

La spiegazione che Luigi Ferrario ci fornisce ci lascia sbalorditi: essa rappresenterebbe l’anagramma di una frase di senso compiuto  che perfettamente ricalca la figura del Genio fiorentino scritta secondo una dialettica propria del periodo:

“Nulla da(s)se genera nulla cosa da me va generata”

La lettera “s” che parrebbe essere in più, anziché andare contro tale ipotesi la rafforza, essendo tipico della scrittura di Leonardo scrivere il “da sé”  attaccato raddoppiando la “s”,  qualora quindi semmai la frase fosse stata scritta in un perfetto e moderno italiano avrebbe potuto fare riflettere…

Tutto questo è “Nulla è la  Luna” un libro catalogato presso la Biblioteca Trivulziana e la Braidense di Milano, la Biblioteca Leonardiana  della fondazione IRIS di Firenze e la National Gallery of Art Library di Washington.